Ripensando a quel "choosy", nella giornata del recupero crediti

Ripensavo, oggi, a tutta la querelle sulla scelta della Fornero del termine "choosy".
Ero a un pranzo con altri colleghi dopo aver partecipato a una conferenza stampa alla Camera e, tipicamente, in queste situazioni si demarca il territorio (sì, un po' come fanno i nostri cani quando pisciano su un ciuffo d'erba o all'angolo della strada già innaffiato da qualcun altro): "tu per chi scrivi?", "dove lavori?", "di cosa ti occupi?". Insomma, ci si prende reciprocamente le misure. C'erano due colleghe dell'Ansa, più grandi di me, molto gentili. Ho detto loro che faccio la freelance e che quel pezzo sarebbe andato (il condizionale è sempre d'obbligo) su LaStampa.it, tra gli approfondimenti realizzati da Greenews. Tante parole per spiegare una semplice corrispondenza di tipo giornalistico, tanta discontinuità, troppa fatica a star dietro a tutto (ché questa è solo una parte).

Nel dirlo, mi sono ascoltata, ho guardato le colleghe e mi è sembrato che in tutte vi fosse una certa stanchezza, e la ben nota sensazione di star inseguendo qualcosa che sempre sfugge: sicurezza, serenità, stabilità.


E allora dopo la stizza iniziale, di ieri, mi sono analizzata meglio: quel termine buttato lì dal ministro del Lavoro mi aveva innervosita ma in realtà il discorso era un discorso di buon senso, che avrei accettato se a farlo fosse stata mia madre, mentre da lei - per quello che rappresenta  - mi è parso un cumulo di ovvietà ("eccerto che dico sì anche a un lavoro sottopagato di questi tempi: me lo devi ricordare anche te? Piuttosto, indicami delle soluzioni, chiariscimi i meccanismi, fammi vedere una prospettiva, cazzo!").


E allora, oggi è stata una giornata di "recupero crediti": perché quando hai più collaborazioni ti tocca anche ricordare che ogni tanto occorre esser pagati. Una persona che mi conosce e mi vuole bene, giorni fa, stanava la mia difficoltà a chiedere: mi vergogno a esigere quello che mi spetta, mi crea imbarazzo, mi mortifica. E allora invece di porre una semplice domanda - "quando mi paghi?" - sono capace di fare tutta una riflessione interlocutoria e indiretta che l'altro si sente legittimato a non capire.
Insomma, stasera sento tutto il peso di questo momento storico che è piombato sulla testa di ciascuno di noi, in misura diversa. Forse sarebbe di un qualche sollievo che i politici avessero più rispetto di questo disagio: non sempre si tratta dell'arroganza tipica dei privilegiati. Mi sembra piuttosto sia ignoranza: questi ignorano le reali condizioni in cui noi viviamo. I sacrifici, la difficoltà di andare avanti, la paura di non farcela, la mortificazione che si prova, ogni volta, quando si deve chiedere quello che spetterebbe di diritto.

Commenti

Post popolari in questo blog

"Il desiderio di essere come tutti"

Nipoti

Balo come King Kong e le scuse ridicole